giovedì 28 marzo 2013

A CARTIERA...OVVERO LA CARTOPIAVE


cartopiave
Ecco come ci viene raccontata la CARTOPIAVE da chi, come mio padre, l’ha vissuta direttamente dagl’anni Sessanta agl’anni Novanta.
La Cartopiave rappresenta un altro mito industriale per Susegana, fortunatamente tuttora operativo, sotto la nuova denominazione Smurfit.
Buona lettura.
Eravamo come un piccolo fiume, un "fiume di biciclette", che al suono della sirena si snodava lungo la Statale Pontebbana. Era il 1967 e in "cartiera", come erroneamente tutti la chiamavamo, si raggiungevano le 500 unità e da poco era stato istituito il terzo turno. Diciamo erronea­mente, perché la Cartopiave di Ponte della Priula era uno scatolificio o meglio una cartotecnica - non produceva carta ma la trasformava in cartone e in scatole - la prima e la più grande del Veneto.
L’avventura era cominciata qualche anno prima, verso la fine del 1959, all'inizio di quei mitici anni Sessanta che vedevano il Paese, appena uscito dagli anni bui del dopoguerra, travolto dal boom economico ed in pieno sviluppo industriale. Un gruppo di imprenditori veneti, tra cui le famiglie Zoppas, Carpenè e Zanussi, decisero di fondare un'azienda per la produzione del cartone ondulato, per sopperire direttamente alle necessità d'imballo dei propri prodotti. La zona era caratterizzata da un contesto territoriale e sociale fortemente rurale, come del resto lo era l'intera penisola italiana. La localizzazione a Ponte della Priula, in particola­re, posta tra la direttrice stradale della Pontebbana e la linea ferroviaria Venezia—Udine, fu considerata strategica nell'area del Nord-Est d’Italia per la costruzione della cartotecnica.
Tra i diversi soci fondatori della neonata S.p.A vi era un certo Joseph Palamenti, italo-americano proprietario anche di una cartotecnica nel New Jersey. Grazie a lui fu presa la decisione di inviare negli Stati Uniti un piccolo gruppo di operai, per imparare teoria e pratica necessarie per l'utilizzo delle nuove attrezzature, anche perché il cartone ondulato era un prodotto nuovo per l'Italia, dove si faceva ancora gran uso di imbal­laggi di legno. Per molti di loro fu come vivere un sogno, circondati di un benessere visto solo al cinema, tanto da creare al rientro qualche problema di riadattamento. Tale esperienza americana contrastava note­volmente con la realtà della produttività italiana. Infatti negli Stati Uniti per la fabbricazione del cartone ondulato erano utilizzate carte qualitati­ve di gran lunga superori a quelle italiane, per due ragioni fondamenta­li: la grande disponibilità di foreste di conifere e di betulle (che consenti­va un'ampia produzione di kraft e di semichimiche pregiate) ed un massiccio impiego di legnami nell'edilizia (che forniva all'industria cartaria notevoli e costanti quantità di residui di lavorazione garanten­do carte pregiate a costi contenuti).
Al rientro in Italia, grazie all'unione dei primi macchinari con le cono­scenze importate dagli Stati Uniti, l'azienda cominciò ad acquisire por­zioni di mercato sempre maggiori, tanto da essere considerati dei veri e propri pionieri del settore. I primi rudimentali macchinari, avevano i rulli di legno ed i primi cliché o meglio le pri­me gomme, puntualmente incise a mano, venivano direttamente appli­cate sul cilindro con delle graffette. Alto, Fragile, Sopra, Sotto, qualche freccia e qualche Made in Italy, erano le uniche scritte, non certo le opere d'arte grafica a più colori di oggi. I colori, quattro o cinque tonalità, non flexo ma a solvente, erano densi e veniva­no spalmati all'interno di rudimentali calamai, diluiti e successivamente asportati manualmente con molto "olio di gomito". Quarant'anni fa la manualità era la norma in tutte le fasi di produzione: un operaio con un carretto e una forca da stalla si occupava dell'ingrato compito di elimi­nare i rifili; le donne provvedevano alla legatura dei pacchi e alla scarti­natura dei fori dei fustellati in platina (le utilizzatrici di fustelle e controfustelle, dovevano ancora nascere.). Purtroppo c'era poca atten­zione alla sicurezza ed accadevano molti più incidenti di oggi.
Si pranzava assieme, non c'era la mensa, ma un pentolino molto simile alle gavette militari che veniva scaldato a "bagnomaria" in apposite vasche metalliche. Eravamo più poveri, più semplici ma ugualmente felici. Le impiegate, bardate con dei poco femminili grembiuli da com­messe dei grandi magazzini armeggiavano con rumorosissime e ferrose macchine da scrivere o con delle vetuste calcolatrici. I pennarelli non erano ancora stati commercializzati, così fino al 1964 i primi bozzetti delle attuali schede tecniche venivano dipinti con pennello e acquerelli, altro che file in PDF o JPG, pura fantascienza!
Da allora molte cose sono cambiate, anche nella struttura societaria. Tra il 1975 e il 1980 si passò al completo assorbimento da parte della Zanussi Elettrodomestici; nel 1982 la cartiera austriaca Nettingsdorfer acquistò il pacchetto di maggioranza unitamente ad un azionista italia­no, per passare poi al Gruppo Smurfit, che è storia dei nostri giorni.
Oggi i tecnici sono decisamente più professionali e più determinati; molti dei vecchi capireparto sono diventati a loro volta piccoli imprendito­ri, quelli che hanno fatto diventare mitico il nostro Nord-Est.  Ma se si ripensa a quegli anni '60 a molti di noi assale la nostalgia di quel piccolo fiume di biciclette lungo la Pontebbana......

 

mercoledì 20 marzo 2013

C'ERA UNA VOLTA DAL VERA


C’ERA UNA VOLTA LA DAL VERA

 
Una delle realtà industriali più importanti per Conegliano, Susegana e tutto il territorio della sinistra Piave della provincia di Treviso fu sicuramente la Industrie Arredamenti Dal Vera.

Fondata a Conegliano nel 1884 dall’artigiano Antonio Dal Vera, che iniziò a costruire  mobili d’arredamenti in giunco e in vimini, ha avuto il suo massimo splendore nel secondo dopoguerra quando ampliò la gamma dei prodotti realizzati nella nuova sede di via Maggior Piovesana a Conegliano, trasferendo a fine anni Cinquanta la produzione nella vicina Susegana in una nuova struttura ammodernata a capo di Pietro Dal Vera, figlio di Antonio, che ha saputo prendere le redini dell’impresa e trasformarla in pochi anni in un impero economico con diversi stabilimenti e migliaia di occupati.

Nel giro di vent’anni infatti la Dal Vera è divenuta uno dei primi produttori mondiali di mobili, diversificando il suo raggio economico anche in altri settori, quali l’immobiliare e l’edile. Dalle sue fabbriche sono usciti centinaia di tecnici specializzati che hanno dato vita successivamente, prima come terzisti, poi con autonome produzioni, ad un fitto tessuto imprenditoriale nel settore del legno/arredo nel territorio trevigiano.
 
Non sono ancora del tutto chiare le dinamiche che hanno portato questo colosso del mobile a chiudere i  battenti in pochi anni, all’inizio degli anni Ottanta, proprio alla vigilia del centenario, lasciando strascichi giudiziari di vasta portata, che hanno macchiato la storia di una grande realtà industriale veneta, troppo frettolosamente mandata in archivio.