mercoledì 10 aprile 2013


Zoppas li fa e nessuno li distrugge!
 
La storia della Zoppas inizia a Conegliano nel 1926 quando Ferdinando Zoppas e i suoi tre figli danno vita alla officina meccanica Zoppas Ferdinando & figli s.n.c. specializzata nella riparazione di cucine economiche a legna di produzione estera.
Nel 1948 dalla Zoppas escono le prime cucine a legna e carbone che segnano l’inizio della crescita dell'azienda in termini di addetti, produzione e vendita che caratterizzerà gli anni Cinquanta.
Nel 1954 infatti la Zoppas inizia la produzione di frigoriferi. I dipendenti in organico oramai superano le 1.500 unità. All'inizio degli anni Sessanta si amplia la gamma di produzione con i lavabiancheria.
Nel 1961 l’ex officina meccanica di Conegliano si trasforma da società in nome collettivo a società per azioni denominandosi Ferdinando Zoppas S.p.A. Nel 1964 la Zoppas realizza la prima lavastoviglie di produzione italiana (denominata "Stovella"), ampliando il proprio potenziale produttivo con la creazione di un nuovo e tecnologicamente avanzato stabilimento a Susegana, in un’area di oltre 100.000 metri quadri tra la linea ferroviaria Udine – Venezia e la statale Pontebbana.
Gli anni del boom economico furono il periodo di maggior espansione della Zoppas, iniziando anche ad esportare i propri prodotti all'estero, tanto che nel 1967 lo stabilimento di Susegana poteva contare oltre quattro mila dipendenti.
Si aprono nuove filiali a Padova, Firenze, Milano, Torino, Napoli, Bologna, Parma, Genova, Udine, Roma, Catanzaro, Verona, Montesilvano.
La gamma dei prodotti Zoppas, alla fine degli anni Sessanta, spazia dalle cucine economiche per uso domestico, ai grandi impianti per cucine di mense e ristoranti, dalle stufe a legna, carbone ed elettriche, ai frigoriferi, le lavabiancheria, le lavastoviglie, dalle vasche da bagno alle lucidatrici. I suoi prodotti venivano pubblicizzati nella televisione di stato attraverso il Carosello, che ebbe il merito di diffondere lo slogan che caratterizza tuttora i prodotti del marchio, “Zoppas li fa e nessuno li distrugge”.
Ma è proprio in questa fase, in concomitanza con l’autunno caldo, che si apre la crisi irreversibile di questo colosso dell’elettrodomestico. L’azienda è investita da difficoltà finanziarie, di mercato, e dall’innalzarsi dei costi di produzione. Un passo falso è l’acquisto di un marchio prestigioso, la Triplex di Solaro, in Lombardia, specializzata nella cottura e nel riscaldamento, operazione con la quale il management confidava di rimettere in corsa il gruppo di Conegliano. In realtà la Triplex si rivela ai fatti un “pozzo senza fondo” che contribuisce in maniera decisiva ad aggravare le difficoltà finanziarie della Zoppas.
In quel periodo storico anche la Zanussi di Pordenone, principale competitor italiano della Zoppas, è investita da difficoltà finanziarie. Di fronte al rischio concreto che l’industria italiana dell’elettrodomestico saltasse in un colpo solo, il Governo decise di intervenire favorendo un processo di integrazione delle industrie del settore, attraverso l’erogazione di una serie di finanziamenti tra i 50 ed i 100 miliardi di lire tramite l’IMI (Istituto Mobilare Italiano), che allora dipendeva dal Ministero del Tesoro, alla Zanussi, capofila di questo processo di aggregazione.
Rimangono tuttora poco chiare le fasi dell’intesa che portarono all’assorbimento della Zoppas da parte della Zanussi, ma pare che il gruppo di Pordenone avesse rispetto alla Zoppas quegli indici favorevoli per essere capofila di questo processo di integrazione.
Della Zanussi, Zoppas, ne segue le sorti, così a metà degli anni Ottanta tutto il gruppo italiano venne assorbito dalla multinazionale svedese Electrolux.
 

giovedì 28 marzo 2013

A CARTIERA...OVVERO LA CARTOPIAVE


cartopiave
Ecco come ci viene raccontata la CARTOPIAVE da chi, come mio padre, l’ha vissuta direttamente dagl’anni Sessanta agl’anni Novanta.
La Cartopiave rappresenta un altro mito industriale per Susegana, fortunatamente tuttora operativo, sotto la nuova denominazione Smurfit.
Buona lettura.
Eravamo come un piccolo fiume, un "fiume di biciclette", che al suono della sirena si snodava lungo la Statale Pontebbana. Era il 1967 e in "cartiera", come erroneamente tutti la chiamavamo, si raggiungevano le 500 unità e da poco era stato istituito il terzo turno. Diciamo erronea­mente, perché la Cartopiave di Ponte della Priula era uno scatolificio o meglio una cartotecnica - non produceva carta ma la trasformava in cartone e in scatole - la prima e la più grande del Veneto.
L’avventura era cominciata qualche anno prima, verso la fine del 1959, all'inizio di quei mitici anni Sessanta che vedevano il Paese, appena uscito dagli anni bui del dopoguerra, travolto dal boom economico ed in pieno sviluppo industriale. Un gruppo di imprenditori veneti, tra cui le famiglie Zoppas, Carpenè e Zanussi, decisero di fondare un'azienda per la produzione del cartone ondulato, per sopperire direttamente alle necessità d'imballo dei propri prodotti. La zona era caratterizzata da un contesto territoriale e sociale fortemente rurale, come del resto lo era l'intera penisola italiana. La localizzazione a Ponte della Priula, in particola­re, posta tra la direttrice stradale della Pontebbana e la linea ferroviaria Venezia—Udine, fu considerata strategica nell'area del Nord-Est d’Italia per la costruzione della cartotecnica.
Tra i diversi soci fondatori della neonata S.p.A vi era un certo Joseph Palamenti, italo-americano proprietario anche di una cartotecnica nel New Jersey. Grazie a lui fu presa la decisione di inviare negli Stati Uniti un piccolo gruppo di operai, per imparare teoria e pratica necessarie per l'utilizzo delle nuove attrezzature, anche perché il cartone ondulato era un prodotto nuovo per l'Italia, dove si faceva ancora gran uso di imbal­laggi di legno. Per molti di loro fu come vivere un sogno, circondati di un benessere visto solo al cinema, tanto da creare al rientro qualche problema di riadattamento. Tale esperienza americana contrastava note­volmente con la realtà della produttività italiana. Infatti negli Stati Uniti per la fabbricazione del cartone ondulato erano utilizzate carte qualitati­ve di gran lunga superori a quelle italiane, per due ragioni fondamenta­li: la grande disponibilità di foreste di conifere e di betulle (che consenti­va un'ampia produzione di kraft e di semichimiche pregiate) ed un massiccio impiego di legnami nell'edilizia (che forniva all'industria cartaria notevoli e costanti quantità di residui di lavorazione garanten­do carte pregiate a costi contenuti).
Al rientro in Italia, grazie all'unione dei primi macchinari con le cono­scenze importate dagli Stati Uniti, l'azienda cominciò ad acquisire por­zioni di mercato sempre maggiori, tanto da essere considerati dei veri e propri pionieri del settore. I primi rudimentali macchinari, avevano i rulli di legno ed i primi cliché o meglio le pri­me gomme, puntualmente incise a mano, venivano direttamente appli­cate sul cilindro con delle graffette. Alto, Fragile, Sopra, Sotto, qualche freccia e qualche Made in Italy, erano le uniche scritte, non certo le opere d'arte grafica a più colori di oggi. I colori, quattro o cinque tonalità, non flexo ma a solvente, erano densi e veniva­no spalmati all'interno di rudimentali calamai, diluiti e successivamente asportati manualmente con molto "olio di gomito". Quarant'anni fa la manualità era la norma in tutte le fasi di produzione: un operaio con un carretto e una forca da stalla si occupava dell'ingrato compito di elimi­nare i rifili; le donne provvedevano alla legatura dei pacchi e alla scarti­natura dei fori dei fustellati in platina (le utilizzatrici di fustelle e controfustelle, dovevano ancora nascere.). Purtroppo c'era poca atten­zione alla sicurezza ed accadevano molti più incidenti di oggi.
Si pranzava assieme, non c'era la mensa, ma un pentolino molto simile alle gavette militari che veniva scaldato a "bagnomaria" in apposite vasche metalliche. Eravamo più poveri, più semplici ma ugualmente felici. Le impiegate, bardate con dei poco femminili grembiuli da com­messe dei grandi magazzini armeggiavano con rumorosissime e ferrose macchine da scrivere o con delle vetuste calcolatrici. I pennarelli non erano ancora stati commercializzati, così fino al 1964 i primi bozzetti delle attuali schede tecniche venivano dipinti con pennello e acquerelli, altro che file in PDF o JPG, pura fantascienza!
Da allora molte cose sono cambiate, anche nella struttura societaria. Tra il 1975 e il 1980 si passò al completo assorbimento da parte della Zanussi Elettrodomestici; nel 1982 la cartiera austriaca Nettingsdorfer acquistò il pacchetto di maggioranza unitamente ad un azionista italia­no, per passare poi al Gruppo Smurfit, che è storia dei nostri giorni.
Oggi i tecnici sono decisamente più professionali e più determinati; molti dei vecchi capireparto sono diventati a loro volta piccoli imprendito­ri, quelli che hanno fatto diventare mitico il nostro Nord-Est.  Ma se si ripensa a quegli anni '60 a molti di noi assale la nostalgia di quel piccolo fiume di biciclette lungo la Pontebbana......

 

mercoledì 20 marzo 2013

C'ERA UNA VOLTA DAL VERA


C’ERA UNA VOLTA LA DAL VERA

 
Una delle realtà industriali più importanti per Conegliano, Susegana e tutto il territorio della sinistra Piave della provincia di Treviso fu sicuramente la Industrie Arredamenti Dal Vera.

Fondata a Conegliano nel 1884 dall’artigiano Antonio Dal Vera, che iniziò a costruire  mobili d’arredamenti in giunco e in vimini, ha avuto il suo massimo splendore nel secondo dopoguerra quando ampliò la gamma dei prodotti realizzati nella nuova sede di via Maggior Piovesana a Conegliano, trasferendo a fine anni Cinquanta la produzione nella vicina Susegana in una nuova struttura ammodernata a capo di Pietro Dal Vera, figlio di Antonio, che ha saputo prendere le redini dell’impresa e trasformarla in pochi anni in un impero economico con diversi stabilimenti e migliaia di occupati.

Nel giro di vent’anni infatti la Dal Vera è divenuta uno dei primi produttori mondiali di mobili, diversificando il suo raggio economico anche in altri settori, quali l’immobiliare e l’edile. Dalle sue fabbriche sono usciti centinaia di tecnici specializzati che hanno dato vita successivamente, prima come terzisti, poi con autonome produzioni, ad un fitto tessuto imprenditoriale nel settore del legno/arredo nel territorio trevigiano.
 
Non sono ancora del tutto chiare le dinamiche che hanno portato questo colosso del mobile a chiudere i  battenti in pochi anni, all’inizio degli anni Ottanta, proprio alla vigilia del centenario, lasciando strascichi giudiziari di vasta portata, che hanno macchiato la storia di una grande realtà industriale veneta, troppo frettolosamente mandata in archivio.

 


 

sabato 28 aprile 2012

Recensione


Pur con alcune contraddizioni tipiche delle trasformazioni repentine, il Comune di Susegana oggi è un territorio moderno, tra i più ricchi del Nordest, trasformatosi da terra di emigranti a destinazione dei nuovi flussi migratori, da paese agricolo a realtà caratterizzata dalla prevalenza di terziario e industria.
Cosa c’era alla base di questa elevata vitalità artigianale ed industriale per il nostro territorio nel corso degli anni Sessanta e Settanta? 
Quali furono i fattori che consentirono un’inversione dei ruoli, da agricolo a industriale, nella dinamica economica di Susegana? 
Quali sono state le conseguenze demografiche e paesaggistiche? 
Quali le conquiste sociali ottenute?
Quali infine saranno le prospettive per l’economia trevigiana?
Questo lavoro concentra l’attenzione su un arco di tempo (1950 – 1970) sufficientemente ampio da poter inquadrare i suddetti fenomeni in relazione alle caratteristiche del sistema economico precedente a questo periodo, esclusivamente agricolo. 
Il libro di Rudy Bortoluzzi è un tentativo per stimolare delle curiosità nelle giovani generazioni per conoscere la recente storia locale di Susegana e gli eventi che l’hanno caratterizzata, e per guardare al futuro.

lunedì 9 aprile 2012

Albino Luciani il papa degli umili

Carissimi sacerdoti,

parecchi ormai me l'avete detto: i nostri paesi stanno trasformandosi! La emigrazione, allargatasi d'improvviso e con un raggio assolutamente impensato (700 emigranti in una sola parrocchia), assume aspetti d'incendio con vampe morali sinistre. L'industria galoppa; capannoni si aggiungono a capannoni non solo a Conegliano, a Vittorio Veneto, ma in tanti altri centri; sempre più numerose le maestranze, più lunghe le file di moto che mattino e sera portano i giovani al lavoro, più frequenti e vivaci le questioni sindacali. La stessa agricoltura cambia volto: le macchine rendono inutili migliaia di braccia; i figli dei contadini frequentano le scuole medie a frotte; radio e televisione spalancano finestre enormi su un mondo sinora ignorato e adesso presentato vicinissimo ad occhi che guardano sbarrati di meraviglia, pronti a tutto registrare, fotografare e, purtroppo, copiare.*

Breve estratto dell’appello che l’allora vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, rivolse ai sacerdoti in preparazione all’incontro di studio di tre giorni sui temi dell’industria, dell’agricoltura e dell’emigrazione, tenutosi nel giugno del 1959.



martedì 14 febbraio 2012

GLI ANNI DEL CAMBIAMENTO

Gli anni Sessanta segnarono una svolta nelle condizioni economiche e sociali di Susegana che in quel periodo passò da un'organizzazione prevalentemente agricola ad una di tipo industriale. Anche se nella vicina Conegliano esistevano già alcune consolidate realtà industriali, la popolazione aveva continuato a basare sul lavoro dei campi gran parte della propria economia.



In quegli anni anche il mondo agricolo si trasformò poiché da un'attività fondata sulla fatica congiunta dell'uomo e degli animali, si passò a quella meccanizzata e poi automatizzata.



Nuovi tipi di concimazioni, sementi selezionate, sistemi irrigui moderni contribuirono a sovvertire il tradizionale sistema economico agrario. Gli attrezzi di cui per secoli si erano serviti i contadini caddero in disuso e di conseguenza anche nel lessico familiare scomparvero molti termini relativi ad essi.



Le industrie dell'area coneglianese in continua espansione si insediarono a Susegana, provocando con le loro richieste una vera e propria fuga di manodopera agricola che si trasformò in operaia. In definitiva il lavoro nell'industria e nel commercio, che era stato sempre complementare a quello agricolo, in moltissimi casi diventò la principale fonte di reddito. Decretando inoltre la fine di antichi mestieri quali: l’arrotino, il battiferro, i maniscalchi, i casari, i mugnai, i cestai, le filatrici e tanti altri.


Ma non si assistette ad un abbandono completo della campagna, poiché gli operai nelle ore libere continuarono a lavorare un piccolo appezzamento di terra, e la domenica erano in cantiere per costruire la propria casetta in economia aiutati da parenti, amici e vicini della contrada.


Possiamo ritenere che la diffusa imprenditorialità della Marca fu generata principalmente all’interno della famiglia mezzadrile, come una forma di riscatto culturale ed economico della stessa.
La famiglia mezzadrile ha fornito allo sviluppo del nostro territorio risorse umane e imprenditoriali, oltre uno spirito di intraprendenza e di rivalsa dal quale derivano molte delle attività attuali, consentendo uno straordinario salto di qualità sotto diversi profili: sociale, culturale ed economico.

PREFAZIONE AL LIBRO

PREFAZIONE

Susegana, più che altri comuni del coneglianese, nel corso degli anni Sessanta e Settanta ha subito una grandiosa trasformazione, passando in pochi anni da area prevalentemente agricola a realtà industriale.
Gli insediamenti più significativi erano rappresentati dalla Zoppas e dalla Dal Vera, seguiti da un numero rilevante di altre aziende di piccole e medi dimensioni..
Superamento della mezzadria e nuovi assetti sociali all'interno del mondo agricolo, sviluppo industriale e del terziario rappresentavano il motore trainante del profondo cambiamento del nostro territorio.
Questi grandi processi di rinnovamento rivoluzionarono in breve tempo anche la vita e i costumi dei cittadini, soprattutto dei giovani i quali rivendicavano con forza e determinazione non solo maggiori salari, ma anche dignità e rispetto nei luoghi di lavoro.
Questi complessi mutamenti, che investirono anche il mondo imprenditoriale, il sindacato, le forze politiche e sociali, il mondo cattolico, segnarono una fase caratterizzata da duri scontri sociali, serrati confronti e forti passioni ideali.
L'intera società, protagonista di queste evoluzioni, ogni giorno si interrogava su quanto stava accadendo, cercando di capire dove portassero i tumultuosi processi in atto e che cosa fare rispetto a quanto la stava coinvolgendo.
Rudy Bortoluzzi, che non ha vissuto quegli anni, ha svolto una profonda analisi economica, politica e sociale, corredandola di dati importanti e utili che consentono ai lettori di disporre di materiale significativo, anche nella memoria fotografica.
L'autore, che vive a Susegana e vi ricopre l'incarico di assessore comunale, ha scelto di porre la sua città di origine al centro del suo studio in quanto questa fornisce uno “spaccato” decisamente emblematico dei processi di cambiamento intervenuti nell'intero Nordest, sia sotto il profilo economico, sociale e culturale, sia per le modifiche urbanistiche intervenute.
Specialmente per quanto riguarda le nuove generazioni, quel ciclo di sviluppo si sta esaurendo, ponendo problematiche inedite sulla necessità di rilanciare una rinnovata qualità del lavoro e sulla necessità di cogliere il valore del modello degli anni Sessanta e Settanta, la sua crisi irreversibile, e in particolare l'urgenza di un suo rilancio e riqualificazione.
L'autore ha saputo legare passato e presente con grande equilibrio, riaprendo una riflessione su difficili questioni oggi quanto mai attuali.
Di fronte alla crisi economica della nostra società ritengo, infatti, vadano ridefiniti i rapporti tra tutti i soggetti del mondo del lavoro: lavoratori, sindacato, classe imprenditoriale e istituzioni.
La storia insegna che i protagonisti delle lotte sociali degli anni Sessanta e Settanta hanno rappresentato un indiscutibile patrimonio tradotto in proposte, azioni e grandi risultati: furono loro, i più deboli, che, organizzandosi, segnarono le fasi più importanti dello sviluppo economico e sociale di allora.
Questo libro ci aiuta a conoscere quel recente passato che ci riguarda tuttora, ma è anche strumento per quanti intendessero proseguire la ricerca in questi ambiti, con l'obiettivo magari di trovare strade nuove da percorrere e costruire risposte concrete soprattutto per le nuove generazioni.
Lo studio di Rudy Bortoluzzi non elabora conclusioni, ma piuttosto fornisce validi elementi di riflessione e di confronto.
Il valore del suo lavoro sta, dunque, nel fatto che ci aiuta a capire il presente e a lavorare per il futuro.
Renato Donazzon